come spesso capita, traggo ristoro dai Canti dell’egregio Giacomo Taldegardo Francesco Salesio Saverio Pietro Leopardi, indi ne faccio macedonia:
«come cadesti o quando
da tanta altezza in così basso loco?
né v’è chi d’onorar ti si convegna.
e piangi e di te stessa ti disdegna;
se di codardi è stanza,
meglio l’è rimaner vedova e sola.
né schermo alcuno ho dal dolor, che scuro
m’è l’avvenire, e tutto quanto io scerno
e tal che sogno e fola
fa parer la speranza.
I danni e il pianto
della virtude ea tollerar s’avvezzi
la stirpe vostra
dunque degli empi
siedi, Giove, a tutela?
oh casi! oh gener vano! abbietta parte
siam delle cose; in peggio
precipitano i tempi; e mal s’affida
a putridi nepoti la suprema
de’ miseri vendetta.
Vissero i fiori e l’erbe,
vissero i boschi un dì.
Prole negletta
nascemmo al pianto; over per poco
il cor non si spaura. Che travagliosa
era mia vita; ed è, né cangia stile,
o mia diletta Luna. E pur mi giova
la ricordanza, e il noverar l’etate
del mio dolore.
di che speranze il core
vai sostentando? era quel dolce
e irrevocabil tempo, allor che s’apre
al guardo giovanil questa infelice
scena del mondo; così de’ bruti
la progenie infinita, a cui pur solo,
né men vano che a noi, vive nel petto
desio d’esser beati;
havvi chi le crudeli opre di marte
si elegge a passar l’ore; e nel fraterno
sangue la man tinge per ozio; ed havvi
chi d’altrui danni si conforta, e pensa
con far misero altrui far se men tristo,
sì che nocendo usar procaccia il tempo.
ti faccia un tempo
la favilla che il petto oggi ti scalda,
di poesia canuto amante.
Con quali ordini e leggi, a che si volva
questo arcano universo; il qual di lode
colmano i saggi, io d’ammirar son pago.
In questo specolar gli ozi traendo
verrò: che conosciuto, ancor che tristo,
ha suoi diletti il vero.»
decco, due collegamenti per chi cercasse Testi Originali e/o il Digital Zibaldone;
«…L’utile non è il fine della poesia benché questa possa giovare. …»